Dopo Un Cinquecento Inquieto nel 2014, seguito dal Carpaccio, Vittore e Benedetto nel 2015 e, nel 2016 da I Vivarini, la nuova grande esposizione a Conegliano.
La mostra, proseguendo le esplorazioni sulle trasformazioni dei linguaggi della pittura veneziana e veneta negli anni magici tra Quattro e Cinquecento, approda alla figura imprescindibile di Giovanni Bellini, scelta tanto più opportuna nel quinto centenario della morte del maestro.
Chi sono, quindi, i giovani artisti e collaboratori del grande Giambellino? Come si formarono, quale posto avevano nella produzione dell’atelier, della bottega, come si diceva allora? Che cosa trassero e che cosa a loro volta tramandarono dalla frequentazione e dalla stessa collaborazione con un artista-intellettuale tanto sublime per pensiero e per invenzione, per tecnica e non meno che per precisione formale?
La mostra prende le mosse proprio da queste domande e trova nella raffinata collezione dell’antica e prestigiosa Accademia dei Concordi di Rovigo lo spunto per tracciare una sorta di mappa (ipotetica e virtuale, ma supportata da una eletta serie di dipinti) del milieu belliniano o, almeno, di una parte significativa e originale di tale universo d’uomini e di capolavori.
Bellini ha lasciato indubbiamente il segno inconfondibile del suo passaggio, ha creato punti di riferimento che hanno fatto scuola per un consistente numero di pittori, stilemi di cui possiamo riconoscere gli elementi costitutivi: semplici contorni di un volto, la postura e la struttura delle mani femminili, i differenti atteggiamenti del Bambinello; ma anche straordinari paesaggi incantati, spalle di colline scoscese e alberate, città murate e fortificazioni, il profilo lontano di catene alpine. C’è tuttavia qualche cosa che è più difficile descrivere e definire del mondo belliniano: quell’estasi muta e pensosa, quell’essere amorevolmente assorti in insondabili pensieri virtuosi, quella mitezza e quasi pudore degli sguardi che è un’attitudine che parte dal Maestro e viene gelosamente conservata e tramandata dai seguaci. Quindi la ‘svolta’ atmosferica e tonale della sua pittura, nello sfumato in cui svanisce la percezione dei contorni e dei profili, dove i protagonisti sono avvolti e immersi in una luce dorata che nessuno però saprà più eguagliare.
Dai due celebri capolavori di Bellini in mostra – la Madonna col Bambin Gesù di esemplare semplicità e perfezione e il Cristo portacroce, così permeato di quel soffuso tonalismo magico e dorato che lo colloca tra le opere-manifesto della stagione matura intensa e filosofica della sua parabola artistica – il percorso espositivo propone importanti confronti, contaminazioni, suggestioni con opere di altri artisti, da Palma il Vecchio a Dosso Dossi fino a Tiziano e Tintoretto, o, addirittura, a maestri tedeschi e fiamminghi (come Mabuse e Mostaert) per sottolineare la centralità di Giovanni Bellini rispetto a uno scenario non solo veneziano e veneto (come ben aveva capito nei suoi passaggi veneziani Albrecht Dürer).
L’esposizione si sviluppa secondo una sequenza tematica che si dispiegherà nel percorso delle sale di Palazzo Sarcinelli: 1.L’alba del Rinascimento; 2.Madonne con il Bambino; 3.Sacre meditazioni e santi attorno al trono; 4.Cristo Passo e Salvatore; 5.Metamorfosi; 6.Trame di sguardi.
In tale trama narrativa ed espositiva si vengono a collocare nomi e personalità molto diverse, tutte accumunate da una più o meno intensa frequentazione di Giovanni Bellini e del suo atelier: assistenti che hanno lavorato al suo fianco nelle grandi imprese decorative di Palazzo Ducale o nelle sale delle Scuole di San Marco e di San Giovanni Evangelista; aiuti che hanno replicato le più fortunate tavole destinate alla devozione privata; artisti partiti da cartoni della bottega, che hanno poi continuato la loro ricerca in autonomia di ispirazione e di linguaggio, dichiarando però il loro legame profondo e irrinunciabile con la pittura del maestro.
Marco Bello, Andrea Previtali, i Santacroce, Luca Antonio Busati, Pasqualino Veneto, Jacopo da Valenza, Nicolò Rondinelli… Non più fantasmi: nella mostra prendono corpo e fisionomia nelle loro Madonnine, nelle loro Conversazioni, nei paesaggi di una idealizzata pedemontana, nella ragnatela di sguardi inquieti e nostalgici. Talvolta permeati di una ingenua naïveté, tal altra attenti a recuperare tradizioni e caratteri derivati dal genius loci di periferie fiere e felici.
Alcuni di questi maestri hanno segnato anche il territorio coneglianese, tanto che, una volta ancora, sarà possibile costruire una sorta di mappa-itinerario del loro passaggio tra Conegliano e Asolo, tra Serravalle e la trevigiana, riprendendo una proposta che ha trovato nelle due mostre precedenti di questo ciclo un ampio consenso e un sincero apprezzamento dei visitatori: completare l’itinerario compiuto dentro le sale espositive con una fitta rete di affascinanti “scoperte” di capolavori sparsi sul territorio, per conoscere lo straordinario museo diffuso che caratterizza il nostro Paese.
La mostra è, dunque, un’occasione per interrogarsi sull’eredità belliniana, ricostruendo con originalità una rete di rapporti e connessioni, mettendo in luce il raffronto possibile tra storie e opere, protagonisti e comprimari su palcoscenici diversi e alternativi e tuttavia legati da analogie e contiguità logiche e strutturali.
Immagine in apertura: Marco Bello (Venezia, 1470 circa- 1523) ”Circoncisione”. Tempera su tavola, cm. 60,5×85 – Rovigo, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi
Giovanni Bellini – Madonna col Bambino benedicente (1510) Dipinto a olio su tavola (85×118 cm) conservato nella Pinacoteca di Brera di Milano
Giovanni Bellini
Giovanni Bellini (Venezia, 1433 circa – Venezia, 26 novembre 1516): pittore italiano cittadino della Repubblica di Venezia tra i più celebri del Rinascimento, noto anche con il nome Giambellino. Lavorò ininterrottamente per ben sessant’anni, sempre ai massimi livelli, traghettando la pittura veneziana, che in lui ebbe un fondamentale punto di riferimento, attraverso le esperienze più diverse, dalla tradizione bizantina ai modi padovani filtrati da Andrea Mantegna, dalle lezioni di Piero della Francesca, Antonello da Messina e Albrecht Dürer, fino al tonalismo di Giorgione. Nelle sue opere Bellini seppe accogliere tutti questi stimoli rinnovandosi continuamente, ma senza tradire mai il legame con la propria tradizione, valorizzandolo anzi e facendone un punto di forza.